Onorevoli Colleghi! - Con l'approvazione della legge 5 febbraio 1992, n. 104, definendo organicamente la normativa vigente ai sensi della legge n. 118 del 1971, relativa all'accertamento dell'invalidità, si sono dettati i princìpi dell'ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza della persona portatrice di handicap, ossia di un soggetto che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
      La centralità della famiglia nell'assistenza dei portatori di handicap risulta essere un dato consolidato (ai sensi anche

 

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della legge n. 328 del 2000, che riconosce e sostiene il ruolo peculiare della famiglia nella cura della persona, predisponendo un sistema integrato di interventi e servizi sociali).
      Al riguardo, è opportuno considerare le molteplici difficoltà di organizzazione della vita domestica e quelle legate all'attività lavorativa, i problemi di relazione e di comunicazione, la fatica e il logoramento delle persone, sulle quali grava l'onere di accudire quotidianamente i figli portatori di handicap, nonché le difficoltà di natura economica, che possono derivare dalla necessità di fare fronte ad impegni onerosi e prolungati nel tempo.
      Con la presente proposta di legge, lo Stato realizzerebbe, inoltre, un risparmio, derivante dall'eliminazione dei costi per supplenze e per sostituzioni dei beneficiari della legge n. 104 del 1992 e della legge n. 53 del 2000, che nella realtà attuale si verificano per le necessarie assenze dal posto di lavoro in cui incorrono i dipendenti a causa dell'assistenza da essi prestata.
      L'approvazione del presente provvedimento legislativo è, altresì, auspicabile anche sotto l'aspetto psico-affettivo, che risulta così notevolmente valorizzato. Il soggetto portatore di handicap potrebbe, infatti, essere amorevolmente curato e assistito senza problemi di disponibilità di tempo nell'ambito familiare, invece di essere affidato ad appositi istituti, le cui prestazioni, come è noto, vengono pagate in massima parte dallo Stato. L'Italia, inoltre, verrebbe a porsi in sintonia con le normative comunitarie, ancora, purtroppo, disattese nel nostro Paese.
      Al fine di evitare una eccessiva generalizzazione della concessione del privilegio pensionistico, l'iniziativa legislativa si riferisce unicamente al caso di invalidità di maggiore gravità, quale risulta essere quello dell'inabile al 100 per cento, con necessità di assistenza continua, incapace di compiere anche i più semplici atti quotidiani della vita. In tale contesto sono compresi, dunque, i soggetti maggiorenni, i cui genitori, a prescindere dalla loro età anagrafica, abbiano maturato il requisito minimo di ventiquattro annualità di contribuzioni versate, che verrebbero incrementate, al fine della determinazione del trattamento pensionistico finale, di un anno per ogni quattro anni di effettiva contribuzione versata per prestazioni lavorative, rese in concomitanza con l'assistenza ai soggetti riconosciuti invalidi al 100 per cento ai sensi della legge n. 118 del 1971 o dell'articolo 3 della legge n. 104 del 1992.
      L'approvazione della proposta di legge, in conclusione, risolverebbe l'annoso problema dell'assistenza in famiglia a favore delle persone portatrici di handicap grave.
 

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